Come testimonia una piccola lapide incastonata sopra il portale, la chiesa venne costruita come voto di due fratelli, Giangiacomo e Pietro Antonio Casari, che avevano fatto fortuna in quel di Venezia, dove lavoravano presso le Finanze delle Dogane al Lido. Una diceria popolare vuole che i due fratelli l’abbiano eretta ad espiazione delle ricchezze indebitamente accumulate nella Serenissima.
In realtà, la chiesa dedicata ai santi Francesco da Paola e Antonio da Padova e alla Beata Vergine Maria è un esempio del forte legame esistente tra gli emigranti valtellinesi e la loro terra d’origine. L’abitudine di inviare denaro o opere d’arte alle comunità religiose di provenienza è infatti ben documentata in tutta la Valtellina, in modo particolare nella zona di Morbegno dove l’emigrazione assunse dimensioni decisamente più rilevanti rispetto al Bormiese.
Nel Contado, fatta esclusione per gli “sciober”, i calzolai che in inverno si spostavano nelle vicine terre ad aggiustare tomaie, non vi fu emigrazione stabile, se non in pochissimi casi.
Nel 1735, i fratelli Casari stipularono un accordo con Carlo Francesco Giani, mastro murario della Valle d’Intelvi, perché provvedesse alla costruzione di un edificio con facciata rivolta verso valle. Il 1° settembre 1737 la chiesa, ormai conclusa, venne consacrata dal vescovo Alberico Simonetta, già in valle per benedire l’Ossario di Cepina.
Negli anni immediatamente successivi la chiesa fu arricchita dai marmi neri dell’altare, commissionati al mastro lapicida Giovanni Battista Adamo di Carona, e da una tela raffigurante la Madonna con il Bambino tra S. Francesco da Paola e S. Antonio da Padova, quasi sicuramente proveniente da una bottega veneziana. La campana fu fusa nel 1755 da Gian Battista Soletti, artigiano di Breno in Valcamonica, non appena don Giovanni Pietro Casari, nipote dei fondatori, iniziò il suo esercizio pastorale a beneficio della chiesetta di Tola.